
Con questa mini serie televisiva di sole 7 puntate Netflix ha davvero fatto scacco matto, partendo con un cavallo di punta, una mossa sicura o quasi sempre fatale, una “difesa siciliana”, se volessimo citare una battuta spesso presente nel copione: prendere uno sceneggiatore come Scott Frank e abbinarlo a Allan Scott basandosi sull’omonimo libro di Walter Travis del 1983 dall’indiscusso successo. Adottare sapientemente una colonna sonora di Carlos Rafael Rivera che va in crescendo dalla prima all’ultima puntata. Come protagonista, scegliere una giovane attrice che possa attraversare il percorso di crescita e formazione di un enfant prodige, trovando in Anya Taylor-Joy il proprio cavallo vincente. Risultato: La Regina degli Scacchi si fa da romanzo a prodotto per la televisione divenendo in egual modo un ottimo strumento di intrattenimento e attrazione. Una schiera di tessere ben allineate, il colpo sicuro di chi ha alla base la solidità di pagine già di gran successo e trova un canale molto semplice con cui godersi gli applausi.

Siamo nell’America degli anni Sessanta. In un orfanotrofio in cui una bambina, l’orfana Beth, scopre e impara la bellezza del gioco degli scacchi solo guardando il custode mentre appassionato duella in solitaria, obbligandolo ad insegnarle ogni mossa possibile. La bambina vive gli scacchi appassionatamente e con dedizione, dedicando anche notti insonni e facendo diventare di una passione la sua ossessione, scoprendo anche l’inizio delle sue fragilità ma anche il punto di forza del suo essere donna in mondo prettamente maschile e misogino.
Seppur con tempi a tratti lenti, dettati unicamente dal gioco, la narrazione scorre in maniera fluida e lineare, non risultando mai piatta ma avvincente e coinvolgente. Forse, risiede proprio in questo l’unico elemento a discapito della storia: Beth, così fragile ed emotiva, con una corazza che pochi riescono a scalfire e la descrizione poco accurata dei personaggi che le si susseguono affianco, non permettono di familiarizzare e appassionarsi ad altri se non a lei.

Traendo le somme, forte di una buona interpretazione della protagonista e del resto del cast, di una regia capace, di uno stile che non sfiora mai l’eccesso e che si mantiene poetico e motivazionale fino alla fine, La regina degli scacchi è un drama che si divora in un attimo, che commuove ma non troppo, che motiva e che fa venir voglia di giocare a scacchi anche senza conoscere le regole.