HOW TO GET AWAY WITH MURDER

Serie TV

Le regole del delitto perfetto: un thriller a sfondo giuridico nato dal produttore di Grey’s Anathomy Peter Nowalk e la sua ideatrice Shonda Rhimes e che ha visto, per l’occasione, invertire i ruoli dei due, raccogliendo numerosi consensi da parte del pubblico.

La serie racconta la vita professionale e privata dell’avvocato penalista Annalise Keating, divisa tra il lavoro in tribunale e l’insegnamento in una prestigiosa università di Philadelphia. Una donna forte e caparbia, messa in scena da una incredibile Viola Davis, capace di far suoi, nel suo ruolo, temi forti come l’omosessualità, la bisessualità, l’etica, la vendetta, l’amicizia, l’amore materno e la vendetta, raccontando l’essenza totale di quello che in realtà è l’essere umano e le sue mille sfaccettature.

I casi che affronta, sin dalla prima stagione e fino all’ultima puntata della sesta, si rivelano essere sempre legati al suo vissuto: per farlo, la regia si serve di numerosi flashforward, che si rivelano essere per il telespettatore un utile strumento per cimentarsi nel capire il susseguirsi della trama o semplicemente per cercare di ricordare i numerosi avvenimenti raccontati. Il primo omicidio, su cui si sviluppa l’intera vicenda, è quello di Sam Keating, marito di Annalise.

Sam, come molti altri, è un personaggio secondario. Ad onor del vero, però, non ho mai visto una serie tv in cui questi ruoli fossero raccontati in maniera così brillante, coerente e in linea con il percorso di ognuno di loro, tanto da essere completamente legati alla narrazione.

C’è poco da poter chiarire senza rischiare di spoilerare, pertanto mi limiterò a dire che con questa serie, Viola Davis ha ricevuto ben due candidature per il Grammy nel 2014 e nel 2015, che ho divorato la serie in sole due settimane e che crea dipendenza. Occorre sapere altro?

Scacco. Matto.

Serie Tv

Con questa mini serie televisiva di sole 7 puntate Netflix ha davvero fatto scacco matto, partendo con un cavallo di punta, una mossa sicura o quasi sempre fatale, una “difesa siciliana”, se volessimo citare una battuta spesso presente nel copione: prendere uno sceneggiatore come Scott Frank e abbinarlo a Allan Scott basandosi sull’omonimo libro di Walter Travis del 1983 dall’indiscusso successo. Adottare sapientemente una colonna sonora di Carlos Rafael Rivera che va in crescendo dalla prima all’ultima puntata. Come protagonista, scegliere una giovane attrice che possa attraversare il percorso di crescita e formazione di un enfant prodige, trovando in Anya Taylor-Joy il proprio cavallo vincente. Risultato: La Regina degli Scacchi si fa da romanzo a prodotto per la televisione divenendo in egual modo un ottimo strumento di intrattenimento e attrazione. Una schiera di tessere ben allineate, il colpo sicuro di chi ha alla base la solidità di pagine già di gran successo e trova un canale molto semplice con cui godersi gli applausi.

La Regina degli Scacchi

Siamo nell’America degli anni Sessanta. In un orfanotrofio in cui una bambina, l’orfana Beth, scopre e impara la bellezza del gioco degli scacchi solo guardando il custode mentre appassionato duella in solitaria, obbligandolo ad insegnarle ogni mossa possibile. La bambina vive gli scacchi appassionatamente e con dedizione, dedicando anche notti insonni e facendo diventare di una passione la sua ossessione, scoprendo anche l’inizio delle sue fragilità ma anche il punto di forza del suo essere donna in mondo prettamente maschile e misogino.

Seppur con tempi a tratti lenti, dettati unicamente dal gioco, la narrazione scorre in maniera fluida e lineare, non risultando mai piatta ma avvincente e coinvolgente. Forse, risiede proprio in questo l’unico elemento a discapito della storia: Beth, così fragile ed emotiva, con una corazza che pochi riescono a scalfire e la descrizione poco accurata dei personaggi che le si susseguono affianco, non permettono di familiarizzare e appassionarsi ad altri se non a lei. 

Beth Harmon

Traendo le somme, forte di una buona interpretazione della protagonista e del resto del cast, di una regia capace, di uno stile che non sfiora mai l’eccesso e che si mantiene poetico e motivazionale fino alla fine, La regina degli scacchi è un drama che si divora in un attimo, che commuove ma non troppo, che motiva e che fa venir voglia di giocare a scacchi anche senza conoscere le regole.

Dark

Serie Tv

Riusciremo a capirne qualcosa? Proviamoci!

Avete mai sentito parlare del “paradosso di Bootstrap”? E’ il nome dato alla curva causale o di casualità, quella che molti definiscono “curva chiusa”. E’ su questo principio che si basa Dark: un ipotetico viaggio per il quale, nonostante un viaggiatore temporale sia coinvolto in una catena di eventi, la storia futura non si modifica a causa dell’esistenza di una predestinazione.
Partiamo subito col dire che Dark è in assoluto una delle serie più sorprendenti e innovative prodotte negli ultimi anni. Questa serie teutonica in tre stagioni riprodotta da Netflix a partire dal 2017, la cui trama è particolarmente intrigante è costruita alla perfezione in ogni suo dettaglio. In un lasso di tempo di 160 anni e l’analisi di più mondi paralleli e confinanti, niente è lasciato al caso ma studiato in ogni sua sfaccettatura ponendo molta attenzione alla congruenza degli avvenimenti passati presenti e futuri.
È in questo contesto che molti hanno paragonato questa narrazione a quella di noi orfani di Lost.
La sceneggiatura è praticamente perfetta, con un lavoro magistrale sulla costruzione dei
personaggi, sulla loro introspezione e sull’analisi psicologica di ogni singolo avvenimento che si è
verificato nel passato ripercuotendosi nel presente di ogni singolo membro di una famiglia.
A livello fotografico, il sapiente utilizzo di colori freddi sin dalle prime scene ci proietta subito in un
paesaggio nordico, di provincia. Capiamo perfettamente di essere in una Germania in piena
crescita economica dove una centrale nucleare la fa da padrona.
I chiari elementi cromatici come l’impermeabile giallo di Jonas, evidente riferimento a IT, film
culto degli anni 90, ci aiutano nella collocazione temporale desiderata dagli autori e la fitta nebbia
come fosse una rappresentazione onirica, aiutano a comprendere i salti temporali a cui lo spettatore sta assistendo.

La trama è particolarmente complessa, ma per capirne qualcosa in più, occorre partire dall’accettare l’idea che per Baran bo Odar e Jantje Friese (i suoi ideatori) il tempo sia un concetto
circolare che prima e poi ritorna, e mai lineare.
Proprio per questo, quando si parla di questa serie, l’associazione con il pensiero di Nietzsche che
qualcuno ha azzardato non è fuori luogo: “tutto quello che accade è contenuto sia nel passato che
nel futuro, tutto accade come deve accadere e come è già accaduto”.
Vuoi per il fatto che il tema trattato, cioè i paradossi generati dai viaggi nel tempo sono di per sé solitamente complessi da capire e vuoi per il fatto che è difficile identificare i singoli personaggi nei diversi piani temporali, solo una seconda visione e un albero
genealogico di ogni singola famiglia dal cognome impronunciabile può aiutare la comprensione di
questa storia. I personaggi messi in campo sono veramente tanti perché in realtà non c’è un
unico protagonista in questa serie.
Per questo, qui di seguito, eccoli riportati.


Si passa repentinamente dal raccontare le vicende accadute nel 2019 per passare poi da quelle del
1986 fino ad arrivare al 1953 è difficile farsi un quadro completo di tutti i  protagonisti e dei
legami che li uniscono nonostante la regia ci venga in aiuto mostrando ogni tanto i cambiamenti dei volti dei protagonisti nelle tre linee temporali.
Dark è dunque una serie più adatta a chi ama imprecare davanti allo schermo e pensare “ma
perché lo sto guardando? Non potevo scegliere una roba più leggera?”.
Oltre ad affrontare in maniera davvero originale il tema dei viaggi nel tempo e trattare in maniera semplicistica argomenti di astrofisica come i buchi neri e i wormhole, Dark tocca temi più filosofici (ecco l’analogia con Nietzsche di cui si parlava precedentemente) determinismo e l’eterno dualismo tra scienza e religione, unico e solo vero filo conduttore di questo tempo della storia della durata di un secolo e mezzo.
Ogni puntata di Dark si chiude solitamente. come è ormai consuetudine nelle serie moderne, con un potente cliffhanger, di quelli che ti fanno venire voglia di vedere immediatamente la puntata successiva.
Questo equilibrio complessivo, solido, convincente, è sicuramente determinato anche dalla scelta
di descrivere la storia di Jonas e Martha in un tempo del racconto di sole tre stagioni.

This Is Us

Serie Tv

Le promesse che This is Us ha fatto al suo pubblico fin da quando la NBC ha diramato nel lontano 2017 uno dei trailer televisivi più cliccati di sempre sono state tutte mantenute. Almeno per me.

La storia si compone di narrazioni diverse aventi un unico filo conduttore: la famiglia. La stessa famiglia, in diversi momenti.

La serie in effetti si apre con la descrizione dei personaggi, molto diversi tra loro e geolocalizzati in diverse parti degli Stati Uniti, ma con un elemento in comune: festeggiano nello stesso giorno il loro trentaseiesimo compleanno. Sono fratelli, gemelli dunque, ma molto diversi tra loro. Inizia così una serie di flashback narrativi che andranno a raccontare le vicende dei Pearson: l’infanzia dei ragazzi si alterna alla loro vita adulta e cosi anche alla vita dei genitori, Jack e Bec, creando un ritmo di visione fluido, ma incisivo. Questo fa di questa serie TV l’elemento forza: ogni personaggio viene psicologicamente sviscerato e analizzato, senza essere rindondante e noioso, ma lasciando che ogni Pearson diventi un membro della tua famiglia.

Figura cardine di questo telefilm è Jack: questo uomo incarna perfettamente la figura di protagonista.

Ha l’incredibile pregio di essere completamente devoto alla sua famiglia pur non avendone mai avuto un concreto esempio. Questa “ansia da prestazione” ne farà emergere anche difetti, e non pochi, ma soprattutto limiti.

La struttura di questa serie potrei paragonarla ad un’opera di Andy Warhol: ogni episodio è una storia in sè che si sviluppa in minuti e si esaurisce in un quella puntata rimanendo completamente vincolata alla trama principale e lasciando che la storia cardine, senza quel determinato episodio, ne risulti priva di significato.

La potenza di “This is Us” è il sublime lavoro di Dan Fogelman: una sceneggiatura semplice, che deve lasciare necessariamente spazio a dialoghi magistralmente scritti e interpretati. Uno tra tutti, quello tra Jack e il Dr. Nathan Katowsky nel pilot: “Adoro pensare che un giorno tu sarai un vecchio come me e aiuterai un uomo più giovane tentando di spiegargli come tu abbia colto il limone più aspro che la vita possa offrirti e ne abbia fatto qualcosa di simile a una limonata“.